Articoli Scientifici

Association of Early Palliative Care Use With Survival and Place of Death Among Patients With Advanced Lung Cancer Receiving Care in the Veterans Health Administration

Ormai sono numerose in letteratura le dimostrazioni dell’importanza dell’attivazione precoce delle cure di supporto nei pazienti oncologici con malattia avanzata, in particolare nei casi, come ad esempio il tumore del polmone, il tumore del pancreas e altri setting caratterizzati mediamente da un peso non trascurabile dei sintomi e da una prognosi potenzialmente infausta nel breve – medio termine. Si aggiunge a tale letteratura l’analisi statunitense pubblicata da JAMA Oncology, che ha preso in considerazione oltre 23.000 pazienti che, tra il 2007 e il 2013, avevano ricevuto diagnosi di tumore del polmone avanzato e che erano assistiti nell’ambito del programma sanitario Veterans Affairs.
L’analisi presenta vari limiti, innanzitutto si tratta di una casistica composta quasi esclusivamente da maschi (a causa del database sanitario usato), e trattati sostanzialmente con chemioterapia, quindi non completamente sovrapponibile alla tipologia di pazienti e trattamenti che attualmente caratterizzano la pratica clinica. Abbastanza “grossolana” era anche la definizione di attivazione di cure palliative, perché gli autori si sono semplicemente basati sul riscontro di una visita con uno specialista di cure palliative, ignorando, da questo punto di vista, le eventuali competenze in merito da parte degli specialisti oncologi che avevano in cura il paziente, e non avendo dettagli sull’eventuale rifiuto da parte del paziente: alcuni pazienti classificati nel gruppo che non aveva ricevuto cure di supporto potrebbero in realtà aver ricevuto la proposta, ma aver rifiutato. Con questi limiti, i risultati sono comunque istruttivi. I pazienti sono stati classificati in 3 gruppi, a seconda del tempo intercorso dalla diagnosi all’attivazione delle cure di supporto. Ebbene, come prevedibile, i pazienti nei quali l’attivazione era avvenuta nei 30 giorni immediatamente successivi alla diagnosi hanno avuto un’aspettativa di vita peggiore: si trattava, probabilmente, di pazienti in condizioni già molto scadute in cui l’attivazione delle cure palliative – ipotizzano gli autori – era avvenuta essenzialmente per agevolare le fasi terminali di vita. Invece, nei pazienti nei quali l’attivazione era avvenuta tra 30 giorni e 1 anno dopo la diagnosi, si è osservato un prolungamento significativo della sopravvivenza rispetto ai controlli, che non avevano ricevuto tale attivazione. Inoltre, l’attivazione precoce delle cure simultanee ha comportato una riduzione delle morti in un setting ospedaliero di ricovero per acuti.
Come sottolineano gli autori, questi risultati aiutano a sfatare un “luogo comune” secondo il quale il ricorso alle cure palliative potrebbe coincidere con una minore attenzione alle cure attive e a un rischio di riduzione dell’aspettativa di vita: i dati di questo studio di coorte, perfettamente coerenti con alcune precedenti evidenze randomizzate, dimostrano invece che l’aspettativa di vita può essere addirittura migliorata.


Sullivan DR, Chan B, Lapidus JA, Ganzini L, Hansen L, Carney PA, Fromme EK, Marino M,Golden SE, Vranas KC, Slatore CG.

JAMA Oncology, 2019 Sep 19

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