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Atezolizumab plus Bevacizumab in Unresectable Hepatocellular Carcinoma

Lo studio randomizzato di fase 3 in aperto IMbrave150 ha confrontato la combinazione di atezolizumab 1200 mg + bevacizumab 15 mg/kg e.v. ogni 3 settimane contro lo standard di cura sorafenib 400 mg bid in pazienti affetti da epatocarcinoma non resecabile che non avevano ricevuto precedenti trattamenti sistemici per la malattia.
Lo studio prevedeva una randomizzazione 2:1 a favore del braccio sperimentale e ha arruolato 501 pazienti in soli 10 mesi (marzo 2018-gennaio 2019). I criteri di inclusione erano quelli standard per i trial nell’epatocarcinoma e hanno incluso solo pazienti con classe funzionale Child A. È importante sottolineare come, a differenza di altri studi registrativi in questa patologia, fosse ammessa l’inclusione di pazienti con invasione del tronco portale principale o della branca portale controlaterale al lobo epatico primariamente coinvolto dalla patologia, invasione dei dotti biliari, o coinvolgimento esteso del fegato.
Endpoint co-primari dello studio erano la sopravvivenza globale (OS) e la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS) basata sulla revisione centralizzata delle immagini secondo i RECIST1.1. Lo studio è stato disegnato per arruolare 480 pazienti e l’analisi finale era pianificata dopo 312 eventi per OS. Il trial è stato pubblicato sulla base dei risultati della prima analisi basata su 306 eventi per PFS e 161 per OS con un follow-up mediano di 8,6 mesi.
Con i limiti di un follow-up breve, lo studio ha mostrato una superiorità del braccio di combinazione rispetto al trattamento con sorafenib sia in termini di OS (HR 0,58; IC 95%: 0,42-0,79; p < 0,001; OS a 6 mesi 84,4% vs 72,2%; OS a 12 mesi 67,2% vs 54,6%) che di PFS (HR 0,59; IC 95%: 0,47-0,76; p < 0,001; PFS a 6 mesi 54,5% vs 37,2%). Anche in termini di risposte obiettive il braccio di combinazione è risultato superiore rispetto a sorafenib sia secondo i RECIST1.1 (27,3% vs 11,9%; p < 0,001) che secondo i criteri specifici per epatocarcinoma mRECIST (33,2% vs 13,3%; p < 0,001). È importante sottolineare come nel braccio di combinazione siano state osservate anche 18 risposte complete (5,5%) che non sono invece state riportate con sorafenib. Le risposte nel braccio di combinazione sono risultate maggiormente durature con una percentuale di risposte di durata superiore a 6 mesi dell’87,6% contro il 59,1% del braccio con sorafenib. Analogamente, anche in termini di controllo di malattia (risposte obiettive + stabilità di malattia) il braccio di combinazione è risultato superiore con un tasso del 73,6% vs 55,3%. Va però evidenziato come nel trial fosse presente un tasso significativamente più alto di pazienti non valutabili per la risposta o con dati mancanti nel gruppo trattato con sorafenib (rispettivamente 8,8% e 11,1%) rispetto al gruppo trattato con atezolizumab + bevacizumab (rispettivamente 2,5% e 4,3%). La maggiore attività del braccio di combinazione si è tradotta inoltre in un maggior ritardo nel deterioramento della qualità di vita misurato secondo i questionari EORTC (11,2 mesi vs 3,6 mesi; HR 0,63; IC 95%: 0,46-0,85). Non sono state osservate differenze significative per gli endpoint di efficacia sulla base dell’espressione di PD-L1.
Come nella maggior parte dei trial di combinazione di immunoterapia o di terapia antiangiogenica le tossicità non sono state marginali con un tasso di interruzione del trattamento per eventi avversi del 15% con atezolizumab + bevacizumab vs 10% con sorafenib, eventi di grado 5 (4,6% vs 5,8%), eventi avversi seri (38% vs 30%). In particolare sono risultati particolarmente rilevanti gli eventi di sanguinamento: 25% nel braccio di combinazione vs 17% nel braccio con sorafenib, con eventi fatali rispettivamente in 6 e 1 paziente. Sorprendentemente la tabella degli eventi avversi è riportata unicamente nell’appendice supplementare.
I limiti di questo studio sono rappresentati principalmente dal follow-up molto breve che potrebbe inficiare una corretta stima della sopravvivenza globale, dall’assenza di un controllo in cieco con placebo e dall’elevato tasso di eventi avversi di sanguinamento che potrebbe limitare l’applicazione clinica della combinazione in pazienti affetti da epatocarcinoma. Inoltre è un peccato che non siano stati inseriti nello studio pazienti con classe funzionale Child B che erano invece erano stati inclusi in trial di fase 2 con il bevacizumab.
Con questi potenziali limiti, lo studio IMbrave150 determina un nuovo standard di cura per i pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato non suscettibile di trattamenti locali.


Richard S Finn, Shukui Qin, Masafumi Ikeda, Peter R Galle, Michel Ducreux, Tae-You Kim, Masatoshi Kudo, Valeriy Breder, Philippe Merle, Ahmed O Kaseb, Daneng Li, Wendy Verret, Derek-Zhen Xu, Sairy Hernandez, Juan Liu, Chen Huang, Sohail Mulla, Yulei Wang, Ho Yeong Lim, Andrew X Zhu, Ann-Lii Cheng, IMbrave150 Investigators

The New England Journal of Medicine, 2020 May 14

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