Rassegna stampa

Bambini e ragazzi curati per un tumore, guarire non basta

Le terapie possono comportare maggiori rischi di patologie, più o meno gravi, in età adulta. E’ importante conoscere le possibili complicanze per gestirle o prevenirle

Da CORRIERE DELLA SERA.it del 4-12-2015

Oggi quasi otto su dieci ce la fanno, ma bambini e adolescenti curati per un tumore possono, una volta diventati adulti, andare incontro a diversi disturbi di salute più o meno gravi. Il problema è noto agli oncologi, ma è solo con i successi delle terapie ottenuti negli ultimi anni, che hanno consentito un numero crescente di guarigioni, che è possibile analizzare a fondo la questione, grazie all’osservazione sul lungo periodo di quanto accade nella vita degli ex malati. Due studi recentemente pubblicati sulla rivista Jama Oncology fanno il punto su quali sono i pericoli maggiori a cui vanno incontro, indicano nuove potenziali patologie da tenere in considerazione e le conclusioni suggeriscono agli oncologi la strada da seguire per garantire ai malati la migliore qualità di vita possibile.

Gli studi: conoscere tutte le possibili complicanze per gestirle o prevenirle

In una prima analisi, Kathrine Rugbjerg e Jorgen H. Olsen del Cancer Society Research Center danesehanno analizzato il rischio di ospedalizzazione di adolescenti e giovani adulti curati per un tumore, fino a 34 anni dopo le terapie. Sono stati valutati i dati di oltre 33.500 pazienti, trascorsi cinque anni o più dopo la diagnosi di cancro, avvenuta tra il 1943 e il 2004. Nel complesso sono stati individuati oltre 53mila casi di ricovero in ospedale per un centinaio di differenti patologie ed è emerso che il rischio di dover soggiornare in una struttura di cura è più elevato per un ex malato di cancro (specie se reduce da una leucemia, un tumore cerebrale o un linfoma di Hodgkin) rispetto a quello di un coetaneo “sano”.
Nel secondo studio, condotto su 80 ex pazienti con un’età media di 40 anni e curati almeno 25 anni prima per un osteosarcoma, sono emerse conseguenze indesiderate a livello neuro-cognitivo: le terapie paiono infatti aver lasciato strascichi sulle capacità di lettura, sulla soglia dell’attenzione e sulla velocità di ragionamento. «Ora che le guarigioni sono in costante aumento occorre conoscere sempre meglio le possibili sequele dei trattamenti ed è fondamentale tenerne conto, per arrivare a individuare in tempo le possibili complicanze e provare a gestirle. O per prevenirle, ogni qual volta possibile» scrivono esperti della californiana Stanford University School of Medicine in un editoriale dedicato al tema.

Con le terapie attuali i rischi di complicanze future sono minori

«Come già dimostrato da altre ricerche, i sopravvissuti a un tumore in giovane età hanno elevate probabilità di dover affrontare ulteriori disturbi da adulti – commenta Monica Terenziani, oncologo pediatra dell’Istituto Tumori di Milano -. In gran parte i rischi dipendono dal tipo di cancro e dalle terapie fatte. E’ però importante ricordare che oggi le cose sono molto cambiate rispetto ad esempio anche solo ai trattamenti di uno o due decenni fa e i protocolli di cura hanno come obiettivo non solo la guarigione, ma anche la qualità di vita futura dei pazienti». C’è oggi una grande attenzione a limitare il più possibile i dosaggi di farmaci o radiazioni, e con loro il carico di conseguenze indesiderate anche sul lungo periodo.
«Questo vuol dire – aggiunge Andrea Ferrari, oncologo pediatra, responsabile del Progetto Giovani all’Istituto Tumori di Milano e fondatore della Società Italiana Adolescenti con Malattie Oncoematologiche (Siamo) -, che con le attuali nuove terapie meno tossiche e più mirate, uno studio simile condotto fra 20 anni sui malati in cura oggi dovrebbe avere esiti migliori, cioè meno ospedalizzazione e meno disturbi per i pazienti guariti. E’ giusto che i ragazzi, finite le terapie, tornino alla loro normalità e non devono sentirsi malati per tutta la vita, ma è anche fondamentale che prestino un’attenzione particolare alla loro salute». «In Europa – conclude Terenziani – stiamo lavorando a un progetto il cui obiettivo è redigere una sorta di “passaporto” per ogni paziente, in cui vengono descritte le terapie eseguite, i principali che corre e gli aspetti a cui deve prestare attenzione, dagli stili di vita ai possibili sintomi che devono insospettire».