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Cancer immunotherapy in special challenging populations: recommendations of the Advisory Committee of Spanish Melanoma Group (GEM)

L’immunoterapia con gli immuno-checkpoint inhibitors (ICI) rappresenta ormai il gold standard per il trattamento di diverse patologie neoplastiche. Tali farmaci vengono utilizzati nella pratica clinica senza particolari difficoltà, tuttavia, esistono popolazioni selezionate, spesso escluse dagli studi clinici registrativi, per le quali vi sono pochi dati soprattutto sulla sicurezza.
Un esempio è rappresentato dai pazienti con infezioni croniche o stati di grave immunosoppressione quali l’infezione da HIV, soggetti con epatopatie virus-relate o con tubercolosi latenti, pazienti sottoposti a trapianto d’organo. In queste popolazioni, la multidisciplinarietà risulta di cruciale importanza sia per condividere la scelta del trattamento che per la gestione delle possibili tossicità.
In questo contesto si inserisce l’articolo recentemente pubblicato sul Journal for ImmunoTherapy of Cancer da Gonzalez-Cao et al.
Gli autori di questo articolo sono specialisti di vari ambiti (oncologi, dermatologi, immunologi e infettivologi) che hanno cercato di definire alcune raccomandazioni sull’utilizzo degli ICI in pazienti immunodepressi per diverse cause.
La prima popolazione presa in esame è stata quella dei pazienti HIV-positivi; con l’avvento della terapia antiretrovirale (TARV) vi è stato un netto incremento della loro sopravvivenza con conseguente relativo aumento dell’incidenza di neoplasie.
Due recenti studi (Gonzalez-Cao M. JAMA 2020 e Uldrich TS. JAMA 2019) hanno valutato l’efficacia e la tollerabilità dell’utilizzo degli ICI, in particolare durvalumab e pembrolizumab, in pazienti HIV-positivi in trattamento con TARV, carica virale soppressa (VL) e conta dei linfociti T CD4+/CD8+ stabile. Dai risultati ottenuti è emerso che non sussistono particolari differenze in termini di efficacia e tollerabilità rispetto ai pazienti non immunodepressi; inoltre non appare necessaria una modifica del trattamento antiretrovirale prima dell’avvio dell’immunoterapia. Gli autori rimarcano tuttavia l’importanza di un’attenta selezione pre-trattamento e di uno stretto monitoraggio in corso di terapia (compliance alla TARV, conta linfociti T CD4+ [> 200 cell/mm3], soppressione della carica virale).
La seconda popolazione in studio è quella dei pazienti affetti da epatopatie virus-relate (HBV e HCV): nonostante abbiano la stessa modalità di trasmissione, le problematiche che inducono sono molto differenti. In primo luogo il virus dell’epatite B, integrandosi all’interno del DNA umano, ha una probabilità molto più elevata di riattivazione soprattutto in condizioni di immunosoppressione (anche in casi HbsAg-negativi/HbcAb-positivi), diversamente da quanto accade per il virus dell’epatite C. Inoltre, per i pazienti affetti da epatite C, esiste la possibilità di eradicare l’infezione grazie all’utilizzo di farmaci antivirali di nuova generazione, basati sulla combinazione di più molecole ad azione antivirale diretta (direct-acting antivirals, DAA), opzione al momento non disponibile per le infezioni da HBV. Ad oggi non sono disponibili molti dati sulla tollerabilità ed efficacia degli ICI in pazienti affetti da HBV. Uno studio particolarmente significativo in questo setting è stato condotto da Zhang et al. (J. Immunother Cancer 2019). Sono stati arruolati 114 pazienti con infezione attiva da epatite B (HbsAg-positivi), di cui 85 (74,6%) in terapia antivirale con analogo nucleoside o nucleotide (NUCs), in trattamento con anti-PD-1/PD-L1. La durata mediana del trattamento è stata di 18 settimane. Dall’analisi dei dati è emerso come nei pazienti non trattati con NUCs vi sia stata un’incidenza significativamente maggiore di riattivazioni virali (17% vs 1,2% nei pazienti non sottoposti a terapia, p = 0,004), e di epatiti HBV-relate (13,8 % vs 1,2%; p = 0,019). Sulla scorta di tali evidenze, nei pazienti con infezione pregressa da HBV (HbsAg-negativi, HbcAb-positivi e HBV-DNA-positivi), oltre al monitoraggio della funzionalità epatica e della viremia (HBV-DNA), viene fortemente raccomandato anche l’utilizzo di una terapia profilattica.
Nei pazienti HCV-positivi (HCV-Ab-positivi, HCV-RNA-positivi), invece, vi è l’indicazione al trattamento eradicante (DAA), soprattutto nei quadri di fibrosi epatica severa, da eseguire possibilmente prima dell’inizio dell’immunoterapia.
La terza categoria di pazienti analizzati sono quelli con tubercolosi latente (nel 2018 l’incidenza dei casi di tubercolosi è stata di 10 milioni di persone, 9% affetti da HIV). La diagnosi di tubercolosi è spesso insidiosa, in particolare in presenza di localizzazioni polmonari di neoplasia, per cui una riattivazione dell’infezione può essere misconosciuta. Prima di iniziare una terapia con ICI, è pertanto fondamentale sottoporre i pazienti al test di Mantoux o all’IGRA test (Quantiferon PLUS), maggiormente sensibile nei pazienti immunocompromessi. Nel caso in cui ci sia la conferma di una riattivazione della tubercolosi in corso di ICI, il panel consiglia di sospendere il trattamento con ICI e di iniziare una terapia mirata con isoniazide, rifampicina, pirazinamide, etambutolo per 8 settimane seguito da isoniazide e rifampicina per 18 settimane. Al momento non vi sono chiare indicazioni in merito a come comportarsi una volta risolta la fase attiva dell’infezione (eventuale rechallange della terapia con ICI).
Infine, l’ultima popolazione valutata è stata quella dei pazienti sottoposti a trapianto d’organo, per i quali non vi sono ad oggi controindicazioni assolute all’utilizzo degli ICI. È indispensabile tuttavia uno stretto monitoraggio clinico strumentale, soprattutto in relazione all’assunzione dopo il trapianto della terapia immunosoppressiva.
In conclusione, il panel di esperti consiglia sempre di eseguire un accurato screening circa la presenza di eventuali infezioni o fattori condizionanti uno stato di immunodepressione prima dell’avvio di una terapia con ICI. Identificare fattori predisponenti allo sviluppo di tossicità da ICI risulta di cruciale importanza per un corretto monitoraggio del paziente e per poter intraprendere tutte le misure necessarie per effettuare in sicurezza il trattamento oncologico, come ad esempio la profilassi antivirale quando indicata.


Maria Gonzalez-Cao, Teresa Puertolas, Mar Riveiro, Eva Muñoz-Couselo, Carolina Ortiz, Roger Paredes, Daniel Podzamczer, Jose Luis Manzano, Jose Molto, Boris Revollo, Cristina Carrera, Lourdes Mateu, Sara Fancelli, Enrique Espinosa, Bonaventura Clotet, Javier Martinez-Picado, Pablo Cerezuela, Ainara Soria, Ivan Marquez, Mario Mandala, Alfonso Berrocal, Spanish Melanoma Group (GEM)

Journal for Immunotherapy of Cancer, 2021 Mar

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