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Four-year overall survival update from the phase III HIMALAYA study of tremelimumab plus durvalumab in unresectable hepatocellular carcinoma

I tumori del fegato rappresentano la terza causa di morte cancro-relata e, tra questi, l’epatocarcinoma è il tumore primitivo più frequente.
Negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento del paradigma terapeutico di prima linea per pazienti affetti da epatocarcinoma avanzato, grazie all’avvento degli inibitori di checkpoint immunitari (ICIs). Strategie terapeutiche di combinazione a base di immunoterapia come atezolizumab e bevacizumab nello studio IMBRAVE-150, tremelimumab e durvalumab nello studio HIMALAYA e camrelizumab e rivoceranib nello studio SHR-1210, condotto su pazienti prevalentemente asiatici, hanno notevolmente migliorato la sopravvivenza dei pazienti in questo setting.
Lo studio HIMALAYA è un trial globale randomizzato di fase III in aperto che ha valutato l’efficacia del regime di combinazione “STRIDE” con doppio inibitore del checkpoint e della monoterapia con durvalumab rispetto allo standard con sorafenib nei pazienti con epatocarcinoma avanzato in prima linea. Lo studio ha arruolato 1171 pazienti affetti da epatocarcinoma (HCC) avanzato che non presentassero ascite refrattaria, invasione della vena porta o co-infezione da virus dell’epatite B e C.
I partecipanti venivano randomizzati a ricevere secondo uno schema 1:1:1 tremelimumab 300 mg (singola dose) più durvalumab 1500 mg ogni quattro settimane (STRIDE), durvalumab 1500 mg in monoterapia o sorafenib 400 mg per due volte al giorno. Lo schema STRIDE è costituito da una singola dose di tremelimumab (anti-CTLA-4), definita come “dose priming” sufficiente a ripristinare l’immunità tumorale tramite il blocco del CTLA-4 sui linfociti Treg e sui linfociti T naïve, in associazione a durvalumab.
Lo studio, inoltre, prevedeva che i pazienti potessero proseguire il trattamento a progressione di malattia in caso di beneficio clinico, a seconda del giudizio dell’investigatore.
Per i pazienti nel braccio STRIDE con progressione di malattia in corso di durvalumab e giudicati suscettibili di ri-trattamento, veniva somministrata una nuova dose di tremelimumab 300 mg e successivamente proseguita la monoterapia con durvalumab.
Obiettivo primario dello studio era la valutazione della superiorità in termini di sopravvivenza globale (OS) del trattamento con lo schema STRIDE rispetto allo standard. Successivamente, veniva valutata l’efficacia di durvalumab in monoterapia rispetto allo standard, con un disegno statistico di non inferiorità, secondo un modello gerarchico.
I primi risultati dello studio sono stati pubblicati nel 2022. I dati dell’analisi primaria con un follow-up di 33 mesi mostravano un vantaggio in OS per lo schema STRIDE rispetto al sorafenib (16.4 mesi vs 13.8 mesi, HR 0.78) e la non-inferiorità sempre in OS della monoterapia con durvalumab rispetto a sorafenib (HR 0.86, margine di non-inferiorità 1.08), con un buon profilo di sicurezza per i trattamenti nei bracci sperimentali.
L’aggiornamento a quattro anni dello studio HIMALAYA, recentemente pubblicato su Annals of Oncology, sembra confermare l’efficacia a lungo termine di questo nuovo trattamento. Oltre ad un update dei dati di sopravvivenza e safety, in questa analisi esploratoria è stata caratterizzata la popolazione dei cosiddetti “long-term survivors”, ossia dei pazienti che hanno riportato una sopravvivenza maggiore o uguale a 36 mesi dalla randomizzazione.
Si riconferma la superiorità dello schema di combinazione STRIDE rispetto allo standard sorafenib in termini di OS (HR 0.78), endpoint primario dello studio, con una probabilità di sopravvivenza a 36 mesi del 30.7% per pazienti trattati nel braccio sperimentale con lo schema STRIDE rispetto al 19.8% per quelli trattati con sorafenib e con un tasso di sopravvivenza a 48 mesi di 25.2% vs 15.1%, il che significa 1 paziente su 4 vivo a 4 anni con la nuova combinazione. Inoltre, la probabilità di sopravvivenza per i pazienti arruolati nello STRIDE che abbiano ottenuto un controllo di malattia (espresso come CR, PR, or SD) raggiunge il 44% a 3 anni e il 36% a 4 anni; quindi, 1 paziente su 3 vivo a 4 anni con durvalumab e tremelimumab, nonostante non siano emerse differenze tra i vari bracci per quanto concerne il disease-control rate.
I pazienti “long term survivors” nel braccio STRIDE sono stati 103, di cui il 38.8% (40/103) hanno proseguito il trattamento a progressione di malattia e più della metà, ossia il 57.3% (59/103) non hanno ricevuto altre linee successive di terapia. Sono stati invece 64 i pazienti lungo-sopravviventi arruolati nel braccio di controllo con sorafenib e, tra questi, il 59% dei pazienti (38/64) ha ricevuto almeno una seconda linea di terapia.
Non vi sono nuovi segnali relativi al profilo di sicurezza. Gli eventi avversi G3-G3 si verificano rispettivamente nel 41.2% dei pazienti trattati con STRIDE (160/388), nel 31.7% (123/388) dei pazienti trattati con durvalumab, e nel 29.7% dei pazienti trattati con sorafenib (111/374).
Restano da chiarire alcuni punti relativi alla contestualizzazione di questi nuovi dati nella pratica clinica. Un punto cruciale riguarda l’efficacia della nuova combinazione in una popolazione di pazienti molto rappresentata nella pratica clinica ed esclusa dallo studio, come i pazienti con infiltrazione del tronco portale, nonché i pazienti con eziologia HCV-relata nei quali il beneficio appare limitato. Inoltre, in assenza di studi comparativi head-to-head tra la combinazione atezolizumab più bevacizumab e durvalumab più tremelimumab, sarà importante individuare dei biomarker predittivi che possano orientare il clinico nella scelta della strategia di prima linea.
In conclusione, i risultati di sopravvivenza globale aggiornati a quattro anni dello studio HIMALAYA rimarcano l’efficacia della combo immuno-immuno STRIDE come trattamento di I linea nell’epatocarcinoma e si confermano come practice-changing. L’approvazione della rimborsabilità da parte dell’AIFA della combinazione durvalumab più tremelimumab, annunciata in questi giorni, è in linea con tali risultati e permette l’accesso a questa importante opzione terapeutica.


B Sangro, S L Chan, R K Kelley, G Lau, M Kudo, W Sukeepaisarnjaroen, M Yarchoan, E N De Toni, J Furuse, Y K Kang, P R Galle, L Rimassa, A Heurgué, V C Tam, T Van Dao, S C Thungappa, V Breder, Y Ostapenko, M Reig, M Makowsky, M J Paskow, C Gupta, J F Kurland, A Negro, G K Abou-Alfa; HIMALAYA investigators

Annals of Oncology, 2024 Feb 19

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