La differenza tra sedazione palliativa e suicidio assistito
Da CORRIERE DELLA SERA del 6-12-2017
Domande & Risposte
1 Come si muore oggi in Italia? Come viene gestito un paziente terminale in terapia intensiva?
«Nel nostro Paese c’è un atteggiamento molto cauto nella sospensione dei supporti vitali in rianimazione – risponde Alberto Giannini, direttore della terapia intensiva pediatrica della clinica De Marchi di Milano. Secondo uno studio la decisione di limitare i trattamenti viene presa nel 60% delle morti, ma in concreto nella metà di questi casi si tratta solo della rinuncia a praticare la rianimazione cardio-polmonare. La vera e propria sospensione del supporti avviene nel 17% dei casi e il loro mancato avvio in un altro 17%, mentre in Europa, in media, il 73% delle morti in terapia intensiva è preceduto da una scelta in uno dei due sensi».
2 Che cosa si intende per supporti vitali?
«In terapia intensiva ventilazione e somministrazione di farmaci vasoattivi per la circolazione, quindi sostegno a cuore, polmoni e reni. Il problema dell’idratazione e dell’alimentazione non riguarda in genere queste situazioni».
3 Si cerca di ricostruire la volontà del malato? Viene coinvolta la famiglia?
«Uno studio pubblicato su Jama (“Journal of American Medical Association”) mostra che questa tendenza cala progressivamente scendendo dal Nord al Sud del continente. E noi siamo a Sud».
4 Si può dire che c’è troppa «aggressività» terapeutica nei confronti dei malati terminali in terapia Intensiva?
«Negli ultimi 20 anni è stato fatto un grosso lavoro che ha migliorato la situazione – sottolinea Martin Langher, già direttore del dipartimento di terapia intensiva dell’Istituto del Tumori di Milano —. Abbiamo imparato a essere meno inutilmente aggressivi. Credo che si possa dire che oggi si muoia meglio e, in generale, si pratichino di più le terapie palliative».
5 Si parla spesso di sedazione palliativa, ma cosa significa esattamente?
«La sedazione vuole togliere la sofferenza e utilizza farmaci diversi da quelli dell’eutanasia o del suicidio assistito. E diversa è anche la tempistica. In media il paziente sedato vive più a lungo, intorno ai tre giorni, mentre nel suicidio e nell’eutanasia la morte è immediata» spiega Giada Lonati, direttore scientifico di Vidas.
6 E’ sufficientemente diffusa in Italia la pratica delle cure palliative?
«Molto di più rispetto a 10 o 20 anni fa — risponde Luca Moroni, presidente della Federadone Italiana Cure Palliative — ma nel nostro Paese si muore ancora troppo in ospedale. Nei casi acuti è comprensibile ma bisognerebbe aumentare la possibilità di vivere gli ultimi tempi della vita in un ambiente più consono. I passi avanti ci sono stati: oggi gli hospice in Italia sono circa 270 contro i 6 del 1999. Ma c’è ancora troppa poca possibilità dl assistenza domiciliare. Inoltre, continuano a essere assistiti con cure palliative prevalentemente i malati oncologici, mentre il 60% di quelli che ne avrebbero bisogno non lo sono. E anche fra gli oncologici solo il 30% le riceve».
7 Ci sono differenze fra le regioni italiane?
«Per le cure palliative ci sono e sono molto forti – continua Moroni -. Se regioni come Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia si sono mosse, altre sono in ritardo. E’ giusto ragionare sulle opportunità di scelta relativamente al fine vita, ma queste opportunità devono prevedere l’opzione delle cure palliative, su tutto il territorio nazionale».
8 Qual è la mancanza più grave relativamente al «morire bene» nel nostro Paese?
«La poca informazione e la poca consapevolezza della possibilità dl scegliere – conferma Giada Lonati -. Siamo poco educati a pensare al limite. Così quando ce lo troviamo di fronte siamo impreparati. Si tende a pensare che alla fine della vita tutti chiedano eutanasia o suicidio assistito, in realtà quello che la maggior parte delle persone chiede è di esser accompagnato, che ci sia qualcuno che letteralmente, “cammini con lui”, non lo lasci solo nel suo percorso e si faccia carico delle sue sofferenze fisiche ed esistenziali. In questi casi la sedazione diventa una possibilità per lenirle».
di Luigi Ripamonti