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Personalized circulating tumor DNA analysis as a predictive biomarker in solid tumor patients treated with pembrolizumab

L’introduzione nella pratica clinica dell’immunoterapia ha rivoluzionato il trattamento e la prognosi di numerose neoplasie solide. Meno del 20% dei pazienti trattati con anti-PD1/PD-L1, tuttavia, ottiene risposte durature. Ad oggi manca un biomarcatore adeguato capace di predire la risposta agli immunoterapici. La determinazione precoce della risposta agli inibitori di immuno-checkpoint (ICI) potrebbe consentire una corretta selezione dei pazienti, riservando il trattamento solo a quei sottogruppi che potenzialmente possono trarne un reale beneficio clinico, evitando inutili tossicità e dispendio di risorse economiche.
In questo contesto si inserisce lo studio INSPIRE (NCT02644369), i cui risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Nature Cancer. Si tratta di uno studio clinico prospettico di fase II che si propone di valutare il ruolo del circulating tumor DNA (ctDNA) quale possibile biomarcatore predittivo di risposta agli ICI. Studi precedenti suggeriscono che la valutazione dell’andamento del ctDNA durante il trattamento potrebbe essere utile nel definire la prognosi della neoplasia e nel monitoraggio della risposta, tuttavia i dati non sono abbastanza robusti poiché si tratta di piccole coorti di pazienti, eterogenee per tipo di farmaco somministrato e metodologie di rilevamento di ctDNA utilizzate.
Nello studio INSPIRE la determinazione del ctDNA è stata effettuata su 316 campioni di plasma ottenuti al prelievo basale (ctDNAB) e dopo ogni tre cicli, da 94 pazienti affetti da tumori solidi in stadio avanzato, trattati con pembrolizumab, età mediana 59 anni, in prevalenza donne (62%), pretrattati in media con 2 linee di terapia (range 0-6). I pazienti sono stati suddivisi in cinque distinte coorti: carcinoma a cellule squamose del distretto testa-collo, carcinoma mammario triplo negativo (TNBC), carcinoma sieroso ovarico, melanoma e tumori solidi misti (MST).
Dalle analisi effettuate è emerso che i livelli di ctDNAB variavano a seconda del tipo di neoplasia, con valori più alti riscontrati nei TNBC e MST. Lo studio ha dimostrato che la concentrazione del ctDNAB correla in maniera statisticamente significativa con la sopravvivenza libera da progressione (PFS), la sopravvivenza globale (OS), la risposta clinica (ORR) e il beneficio clinico (CBR). In particolare livelli più bassi di ctDNAB sono associati a maggiori OS (HR 0,49; IC 95%: 0,29-0,83) e PFS (HR 0,54; IC 95%: 0,34-0,85) e a tassi superiori di CBR (OR 3,24; IC 95%: 1,19-8,8). L’OS e la PFS mediane sono state 14 e 1,9 mesi rispettivamente, l’ORR 17% (3 risposte complete + 13 risposte parziali) e il CBR 26%.
Considerando la cinetica del ctDNA durante il trattamento è emerso che nel 45% dei pazienti vi è stata una riduzione del valore rispetto al basale: tutti i pazienti (12) che hanno avuto una clearance del ctDNA durante la terapia, hanno avuto risposte oggettive prolungate ed erano vivi dopo un follow-up mediano di 25,4 mesi; nei casi in cui il ctDNA si è ridotto rispetto al basale senza azzerarsi completamente, le risposte sono state miste. Dato interessante da sottolineare è che spesso la clearance del ctDNA ha preceduto la risposta radiologica.
Questo studio dimostra come l’utilizzo del ctDNA potrebbe rivoluzionare la gestione dei pazienti affetti da neoplasie, sostituendo la biopsia tissutale per la caratterizzazione biologica del tumore mediante un approccio non invasivo, e garantendo una precoce identificazione di progressione di malattia.


Scott V. Bratman, S. Y. Cindy Yang, […] Trevor J. Pugh

Nature Cancer, 3 August 2020

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