Notiziario AIOM

BREAST CANCER

L’ASCO 2021 ci ha dato dei risultati secondo me estremamente interessanti. Ne ho selezionati alcuni, qualcuno dei quali può anche cambiare la pratica clinica.

Il primo fra tutti lo studio OlympiA che attendevamo da un po’ di tempo che proviene dai risultati di uno studio OLYMPIAD in fase metastatica che sancisce per la prima volta l’importanza del parp-inibitore in una linea avanzata di malattia nelle pazienti BRCA-mutate e lo stesso risultato viene traslato a livello di early breast cancer nelle donne operate con tumore della mammella BRCA-1 o 2 o BRCA1-2 -mutato , venivano randomizzate dopo aver effettuato un trattamento chemioterapico neoadiuvante o adiuvante  o trattamento ormonale, associato o meno una radioterapia, randomizzate con un rapporto 1:1 a ricevere olaparib verso placebo ​​​​​per 1 anno. Questo risultato ad un follow up di 3 anni e mezzo ci dà un’importantissima evidenza. A queste donne l’effetto del parp-inibitore aumenta il beneficio in termini di prima ricaduta di malattia e anche di overall survival. Quali sono stati i numeri? Le pazienti in trattamento con olaparib passano da un intervallo libero da malattia del 77% all’86%, quindi quasi il 9% di differenza tra i due bracci di trattamento. Una differenza che viene evidenziata anche nel caso di malattia a distanza quindi le metastasi a distanza, si passa dall’80% del placebo all’87,5% con olaparib, in questo caso un 7,5% di differenza, ma la cosa importante è che già si evidenzia l’overall survival, il beneficio del parp-inibitore olaparib in termini di sopravvivenza vera e propria, passando da un 88% di sopravvivenza al 92%. Un risultato eclatante che cambia inevitabilmente lo standard of care e che diamo a questa sottopopolazione di donne che hanno già una particolare malattia che le porta a fare scelte molto serie, quali le profilassi chirurgiche sia mammaria che ovarica, diamo un beneficio proprio nella sopravvivenza, l’endpoint assoluto che noi oncologi vogliamo raggiungere.

Un altro risultato, di cui eravamo già preavvisati date alcune evidenze preliminari, è nella fase di malattia avanzata. Sono i risultati degli studi PALOMA 3 e MONALEESA 3 con l’utilizzo degli inibitori delle cicline associato a terapia ormonale: lo studio PALOMA 3 con un follow up di circa 73 mesi e il MONALEESA 3 con un follow up di quasi 5 anni. Nel primo caso un beneficio del palbociclib con fulvestrant in una popolazione  precedentemente trattata con una prima linea ormonale, o mai trattata con una prima linea ormonale, o che potevano avere effettuato una prima linea chemioterapica, ci troviamo davanti ad un beneficio significativo con il trattamento con palbociclib e fulvestrant versus fulvestrant da solo, passando da 28 mesi con il solo trattamento antiormonale  a 35 mesi dell’associazione con palbociclib.

Analogo risultato in termini di sopravvivenza ad una mediana di 5 anni viene dallo studio MONALEESA 3 con l’uso di ribociclib associato al fulvestrant a confronto con fulvestrant, dove passiamo, in una popolazione mai trattata  con un trattamento ormonale o in pazienti che avevano effettuato almeno una prima linea per malattia avanzata con un trattamento ormonale, a un beneficio di 41 mesi con il solo fulvestrant  a 53 mesi con il ribociclib + fulvestrant, e l’analisi del sottogruppo della popolazione che effettua ribociclib più fulvestrant in una seconda linea, ovvero pazienti già pretrattati con terapia ormonale, si passa da 33 mesi di overall survival a 39 mesi.

Questi due studi, senza andare nel particolare, ci danno una forza ancora maggiore perchè, oltre alla progression free survival che rappresenta un surrogato di sopravvivenza, abbiamo il dato vero della overall survival. Sono due studi simili ma non uguali con due molecole che appartengono alla stessa categoria di farmaci, ma non sono due inibitori di cicline simili, sta adesso al clinico andare ad individuare a quali specifici pazienti si offrirà il trattamento più idoneo.

Lo studio giapponese SYSUCC 002 rappresenta un punto importante di riflessione, effettuato su pazienti HER2 positive ricadute per la prima volta della loro malattia, in cui si confronta il trastuzumab più ormonoterapia versus trastuzumab più chemioterapia nella popolazione con tumore triplo positivo, quella malattia in cui noi clinici, in sottopopolazioni come gli anziani o nel caso di malattia oligometastatica, siamo abbastanza titubanti ad effettuare un trattamento chemioterapico. Questo studio ci evidenzia che i due regimi hanno una non significativa differenza in termini di progressione libera di malattia. Lo studio lascia una riflessione sulla possibilità di trattare una specifica sottopopolazione (pazienti anziani, frail, con malattia oligometastatica) con la terapia anti HER2 associata alla terapia anti ormonale; il tumore triplo positivo è una malattia genomicamente multifattoriale che merita ulteriori investigazioni.

Alessandra Fabi