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Speciale ASCO 2020. TUMORE DEL POLMONE: PASSI IN AVANTI NELLA CURA DEL BIG KILLER

Ogni giorno, in Italia, vengono diagnosticati più di 115 casi di tumore del polmone e, nel 2019, ne sono stati stimati 42.500. Oggi nel nostro Paese vivono quasi 107.000 persone con pregressa diagnosi di carcinoma polmonare, dieci anni fa erano circa 82mila, l’incremento è stato del 30% La speranza di vita si sta allungando, grazie alle terapie innovative.

In particolare, la terapia mirata in stadio precoce e l’immunoterapia in fase metastatica stanno evidenziando importanti progressi nel trattamento di questa neoplasia. Lo dimostrano gli studi presentati al Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (ASCO). Nello studio di fase III ADAURA osimertinib, terapia mirata, somministrata come trattamento adiuvante (dopo intervento chirurgico radicale), ha dimostrato un miglioramento statisticamente significativo e clinicamente rilevante della sopravvivenza libera da malattia (DFS) nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule (NSCLC) in stadio precoce (IB-IIIA), che presentano mutazioni del recettore del fattore di crescita epidermico (EGFR). I risultati dello studio ADAURA sono stati presentati nella sessione plenaria dell’ASCO (Abstract #LBA5). L’endpoint primario dello studio era rappresentato dalla DFS nei pazienti con malattia in stadio II e IIIA: osimertinib come trattamento adiuvante (dopo l’intervento chirurgico) ha ridotto il rischio di recidiva o morte dell’83% rispetto al braccio di confronto. I risultati della DFS per la popolazione complessiva di pazienti arruolata nello studio (stadi IB – IIIA), un endpoint secondario chiave, mostrano una riduzione del rischio di recidiva o morte della malattia del 79%. A due anni dall’inizio del trattamento, l’89% dei pazienti trattati con osimertinib è vivo e libero da malattia contro il 53% di quelli trattati con placebo. La presentazione dei dati di ADAURA era originariamente prevista per il 2022, ma il comitato indipendente ha deciso di anticiparla per evidente superiorità di osimertinib.

“Una riduzione del rischio di recidiva o morte pari all’80%, in un setting di pazienti in stadio precoce e quindi potenzialmente curativo, è sicuramente un dato senza precedenti e che porterà ad un cambio della pratica clinica – spiega Filippo de Marinis, Direttore della Divisione di Oncologia Toracica all’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e Principal Investigator dello studio per l’Italia -. Si tratta di risultati che vedranno inevitabilmente l’affermarsi delle terapie target e, in particolar modo, dell’inibitore di EGFR osimertinib, come terapia standard per i pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule in stadio precoce e positivi alla mutazione di EGFR.”

“Il test per la ricerca delle mutazioni di EGFR è raccomandato da tutte le linee guida nazionali e internazionali per i pazienti che si presentano alla diagnosi con un tumore in stadio avanzato – afferma Antonio Marchetti, Ordinario di Anatomia Patologica e Direttore del Centro di Medicina Molecolare e Predittiva dell’Università di Chieti -. I dati dello studio ADAURA porteranno ad un cambio nell’approccio diagnostico anche per i pazienti che hanno una malattia in stadio precoce e per i quali sarà necessario prevedere, alla luce di quanto presentato nel corso del congresso ASCO, l’implementazione del test per verificare l’eventuale presenza della mutazione, requisito fondamentale per il trattamento target con l’inibitore di EGFR.”

Per i pazienti colpiti da tumore del polmone non a piccole cellule in fase metastatica, l’immunoterapia associata a cicli limitati di chemioterapia, cioè due invece dei classici 4-6, ha evidenziato un netto vantaggio in termini di sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia. Lo dimostra lo studio di fase 3 CheckMate -9LA, che ha coinvolto più di 700 pazienti, presentato in una sessione orale all’ASCO (Abstract #9501). “È una neoplasia particolarmente difficile da trattare, perché circa il 70% dei casi è scoperto in fase avanzata – afferma Federico Cappuzzo, Direttore Unità Operativa di Oncologia di Ravenna e del Dipartimento di Oncoematologia di Ausl Romagna -. La duplice terapia immuno-oncologica, costituita da nivolumab più ipilimumab, in associazione con due cicli di chemioterapia, in prima linea nel tumore metastatico, ha ridotto il rischio di morte del 31% rispetto alla sola chemioterapia ad un follow-up minimo di 8,1 mesi. Inoltre, ad un follow-up prolungato (12,7 mesi), l’associazione ha continuato a mostrare un miglioramento duraturo della sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia, con una mediana di 15,6 mesi rispetto a 10,9 mesi. Il vantaggio in termini di sopravvivenza globale è notevole e non si limita a poche settimane, come in schemi terapeutici di alcuni anni fa. Va sottolineato che la mediana della sopravvivenza rispecchia solo in parte il reale beneficio clinico per il singolo paziente. Negli studi sull’immunoterapia osserviamo sempre la cosiddetta ‘coda delle curve’, perché un gruppo di pazienti presenta un vantaggio di sopravvivenza a lungo termine. La combinazione di due molecole immuno-oncologiche consente di ottenere un meccanismo d’azione completo e sinergico, perché diretto verso due diversi checkpoint (PD-1 e CTLA-4)”.  “L’ulteriore vantaggio di questo schema terapeutico è rappresentato dall’utilizzo di cicli limitati di chemioterapia – sottolinea Federico Cappuzzo -. La chemioterapia fa ancora paura ai pazienti, anche se è più ‘dolce’ rispetto al passato e riusciamo a controllare meglio gli effetti collaterali. Normalmente i cicli vanno da 4 a 6, a cui segue la fase di mantenimento, che può avere una durata indeterminata. Nello studio CheckMate -9LA, invece, ai pazienti sono stati somministrati solo due cicli di chemioterapia, che equivalgono a 21 giorni di trattamento (la distanza fra i cicli è appunto di tre settimane). Pertanto, il paziente in meno di un mese termina la chemioterapia e prosegue il trattamento con l’immunoterapia. Un passo in avanti importante, non solo dal punto di vista della tollerabilità ma anche dell’impatto psicologico della cura”.

Conferme del valore dell’immunoterapia nella fase avanzata vengono anche dai nuovi dati aggiornati dell’analisi finale dello studio KEYNOTE-189 di fase 3 (Abstract #9582). Pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia ha ridotto il rischio di morte del 44% rispetto alla sola chemioterapia e, a due anni, ha dimostrato un beneficio sostenuto di sopravvivenza a lungo termine nel tumore del polmone non a piccole cellule non squamoso metastatico. In particolare il 45,7% dei pazienti trattati con la combinazione era vivo dopo due anni rispetto al 27,3% con sola chemioterapia. La sopravvivenza globale mediana è raddoppiata con la combinazione, raggiungendo i 22 mesi rispetto ai 10,6 mesi con la chemioterapia. “Lo studio KEYNOTE-189 ha già dimostrato che l’immunoterapia con pembrolizumab in combinazione con la chemioterapia migliora in maniera sostanziale la sopravvivenza nei pazienti con tumore del polmone, indipendentemente dall’espressione di PD-L1 – spiega Marina Chiara Garassino, responsabile della Struttura Semplice di Oncologia Medica Toraco Polmonare presso la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale di Tumori di Milano -. I risultati dell’analisi aggiornata evidenziano il beneficio della terapia di combinazione con pembrolizumab anche nel lungo termine, con il 45,7% dei pazienti vivo dopo due anni rispetto al 27,3% trattati con sola chemioterapia. È importante quindi sottolineare che, nonostante l’aggiornamento del follow-up, la riduzione del rischio di morte rimane della stessa entità anche due anni dopo la prima analisi pubblicata nel 2018 ed i dati non sono influenzati né dal Tumor Mutational Burden (TMB, carico mutazionale del tumore) né dall’espressione di PD-L1. Pembrolizumab è disponibile anche in Italia e rappresenta un trattamento consolidato nella cura del tumore del polmone non a piccole cellule metastatico sia in monoterapia che in combinazione”.