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ASCO. LE TERAPIE PER IL TUMORE AL SENO NON AUMENTANO IL RISCHIO DI INFEZIONE O DI MORTE DA COVID-19

I farmaci per il cancro che abbassano le difese immunitarie non hanno più probabilità di aumentare il rischio di infezione o di morte da COVID-19 rispetto alle terapie oncologiche che non influiscono sul sistema immunitario, secondo un nuovo studio.

I ricercatori riferiscono che i risultati contestano le preoccupazioni iniziali che tali trattamenti, che avvelenano le cellule tumorali, siano troppo pericolosi per essere continuati durante la pandemia. Condotto dai ricercatori del NYU Langone Health e del Perlmutter Cancer Center, il nuovo studio, che ha coinvolto più di 3.000 donne in trattamento per il tumore del seno durante il picco della pandemia a New York City, ha mostrato che solo 64, il 2%, hanno contratto il virus. In questo gruppo 10 pazienti sono morte di COVID-19, numero che secondo gli autori dello studio è basso e atteso per questo gruppo di età, indipendentemente dal cancro. In particolare, le pazienti in trattamento chemioterapico citotossico presentavano circa lo stesso rischio di infezione da coronavirus di quelle trattate con altre classi di farmaci con un impatto minimo sulle difese del sistema immunitario. “I risultati mostrano che le pazienti possono essere trattate in tutta sicurezza con le terapie contro il tumore del seno, compresa la chemioterapia, durante la pandemia,” afferma Douglas Marks, investigatore principale dello studio e oncologo medico del Perlmutter Cancer Center. “Fino a quando i pazienti continueranno a prendere precauzioni ragionevoli come indossare la mascherina e praticare il distanziamento sociale, potranno sentirsi fiduciosi nel continuare il piano terapeutico scelto con i loro medici,” dichiara Sylvia Adams, investigatore senior dello studio e oncologo medico del centro oncologico. Adams, professore nel Dipartimento di Medicina del NYU Grossman School of Medicine, osserva che il tumore del seno rimane la principale causa di morte per tumore tra le donne americane con circa 45.000 decessi ogni anno. All’inizio della pandemia da coronavirus nella primavera del 2020, la mancanza di informazioni sui fattori di rischio per infezione da COVID-19 in questi pazienti ha portato a ritardi nei trattamenti. Numerosi medici, riferiscono gli autori, erano particolarmente preoccupati per la somministrazione di regimi chemioterapici standard, che potevano rendere i pazienti più vulnerabili al virus. Di conseguenza alcuni hanno ritardato o addirittura evitato i trattamenti.  Si ritiene che il nuovo studio, presentato il 4 giugno al congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) (Abstract 1513), costituisca la più grande indagine che valuta direttamente l’effetto delle terapie per il tumore del seno sul rischio di infezione e di morte da coronavirus, secondo Adams. Per questa indagine, i ricercatori hanno analizzato la documentazione medica delle pazienti con tumore del seno in trattamento con chemioterapia o con altri farmaci da febbraio a maggio 2020 presso il Perlmutter Cancer Center di New York City e Long Island. Gli investigatori hanno considerato le informazioni che comprendevano i risultati dei test per COVID-19, l’estensione del tumore, la presenza di altre malattie e la sopravvivenza. Tra i risultati dello studio, il rischio di infezione da coronavirus tra le pazienti con tumore del seno in trattamento chemioterapico non era maggiore di quello delle pazienti trattate con terapie che non influiscono sul sistema immunitario. Il trattamento inoltre non ha aumentato il rischio di morte da COVID-19. In aggiunta, lo studio ha mostrato che le pazienti anziane e in sovrappeso rimanevano a maggior rischio di morte per infezione da coronavirus, un risultato, secondo i ricercatori, in linea con le ricerche precedenti sulla mortalità per COVID-19. Adams, che è anche direttore del Breast Cancer Center del Perlmutter, avverte che la pandemia da coronavirus si evolve rapidamente e che le precauzioni contro le infezioni dovrebbero rimanere in vigore nei centri oncologici.  Marks, assistente professore al Dipartimento di Medicina del NYU Long Island MSchool of Medicine, osserva che non è chiaro se questi risultati siano validi in caso di nuove varianti di coronavirus emergenti, che il gruppo di studio deve ancora analizzare. Marks è anche direttore medico dell’ufficio studi clinici del NYU Langone Hospital – Long Island. Il finanziamento dello studio è stato fornito dalla NYU Langone e dal Perlmutter Cancer Center.