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Genitourinary Cancers Symposium. CONSEGUENZE DEL RINVIO DELLA CHIRURGIA NEL CARCINOMA A CELLULE RENALI DURANTE LA PANDEMIA

Durante il picco della pandemia COVID-19, numerosi interventi chirurgici elettivi nel carcinoma a cellule renali sono stati rinviati, con conseguenze sconosciute sui risultati per i pazienti.

In uno studio retrospettivo i ricercatori del Rutgers Cancer Institute of New Jersey hanno analizzato l’impatto dei ritardi chirurgici in questi pazienti negli Stati Uniti, utilizzando il Database oncologico nazionale per determinare i risultati dei pazienti sottoposti a chirurgia a 3 mesi e oltre dalla diagnosi. I risultati sono stati presentati da Srivastava e colleghi in occasione del Genitourinary Cancers Symposium 2021, che si è svolto recentemente (Abstract 283).

Background dello studio

Il COVID-19 ha completamente trasformato la società e, in molti casi, ha creato problemi nella fornitura di assistenza sanitaria. Nel tentativo di preservare le risorse sanitarie e contrastare la crescita esponenziale della pandemia, gli ospedali hanno rinviato gli interventi chirurgici non urgenti. Tra questi, gli interventi potenzialmente curativi nel tumore del rene – nefrectomia parziale e radicale. Presso il Rutgers Cancer Institute of New Jersey, gli interventi chirurgici sono stati rinviati da 1 a 3 mesi durante il picco della pandemia in New Jersey. Lo scopo dei ricercatori era capire l’effetto di questi ritardi sui pazienti e sulle loro condizioni a livello oncologico. In base a studi precedenti, le piccole masse renali (al di sotto dei 4 cm) possono essere monitorate in sicurezza per alcuni mesi. Questo studio si è focalizzato in modo particolare sulle masse più grandi (T1b­–T2b), ancora limitate al rene. Per i pazienti con questi tumori, l’impatto è meno chiaro.

Metodologia

Il gruppo di ricerca ha utilizzato il Database oncologico nazionale per esaminare circa 30.000 pazienti con tumori estesi localizzati nel rene e ha stabilito l’impatto del rinvio degli interventi chirurgici per questi pazienti. I ricercatori hanno definito come ritardo chirurgico il tempo dalla diagnosi al momento dell’intervento. Le implicazioni oncologiche del ritardo nel tumore del rene sono state stabilite con l’utilizzo di due endpoint: livello di pT3a (progressione del tumore a livello locale) e sopravvivenza globale. I pazienti di ogni stadio clinico sono stati substratificati a seconda del ritardo dell’intervento chirurgico, definito dal tempo trascorso dalla diagnosi alla data dell’intervento. Il ritardo chirurgico è stato diviso in categorie: meno di 1 mese, da 1 a 3 mesi e più di 3 mesi. I cutoff sono stati stabiliti sulla base dell’esperienza clinica degli autori durante la pandemia.

Risultati

Nella definizione del livello di pT3a – endpoint primario dello studio – i tassi all’interno della stratificazione della fase clinica erano molto simili, indipendentemente dal ritardo chirurgico. In ogni strato dello stadio clinico, il ritardo non sembra aver aumentato il rischio di progressione del tumore a livello locale. Nella valutazione della sopravvivenza globale sono stati trovati risultati simili – non sembra che il ritardo chirurgico fino a 3 mesi fosse correlato a minore sopravvivenza, anche nei pazienti con tumori estesi localizzati. Per questo gli autori dello studio hanno concluso che il ritardo chirurgico fino a 3 mesi non ha portato a risultati oncologici peggiori.

Durante la pandemia da COVID-19 in corso, numerosi pazienti con carcinoma a cellule renali localizzato hanno subito un ritardo chirurgico. Questi dati possono rassicurare i pazienti e gli operatori sul fatto che i ritardi fino a 3 mesi con molta probabilità non influenzano i risultati oncologici.

Gli autori dello studio concludono: “Ritardare l’intervento chirurgico fino a 3 mesi e anche oltre non aumenta significativamente il rischio di progressione del tumore nel carcinoma a cellule renali clinicamente localizzato. Tuttavia, nella decisione di rinviare la chirurgia a causa del COVID-19, devono essere considerati l’istologia, la cinetica della crescita, le comorbilità del paziente, e le capacità/risorse dell’ospedale.”