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Intervista al Direttore del National Cancer Institute (USA). NORMAN SHARPLESS: “LA LOTTA AL CANCRO DEVE RIPARTIRE DAGLI SCREENING”

La pandemia ha sollevato preoccupazioni per l’interruzione dei programmi di prevenzione secondaria, ma offre nuove opportunità di ricerca

L’anno scorso la pandemia COVID-19 ha interessato ogni aspetto dell’assistenza oncologica, compresa la prevenzione del cancro. Il Direttore del National Cancer Institute (Bethesda, USA), Norman E. “Ned” Sharpless, recentemente ha condiviso le sue opinioni su COVID-19, screening e diagnosi oncologiche e ha delineato gli interrogativi principali relativi alla ricerca, emersi durante la pandemia. La sua conversazione con Michael Pollak, Editor-in-Chief di Cancer Prevention Research , Direttore della Divisione di Prevenzione oncologica al Dipartimento di Oncologia della McGill University di Montreal (Canada), ha considerato anche altri aspetti della prevenzione oncologica, compresi gli screening per il tumore del polmone e i fattori di rischio modificabili.

Quali sono le sue preoccupazioni a proposito di COVID-19 e screening oncologici?

È un’area che solleva grande preoccupazione. Stanno arrivando dati molto eterogenei da centri medici accademici, cartelle cliniche elettroniche, richieste CMS e reti NCI con una risposta comune, cioè che la pandemia ha influito in modo drastico sugli screening oncologici. Durante il picco pandemico della scorsa primavera/estate, gli screening oncologici (mammografia, PAP test, screening con TC a basso dosaggio per il cancro ai polmoni, colonscopia, e altri esami di screening per il tumore del colon retto) erano in calo nell’ordine del 95% in tutto il Paese. Per quanto tempo siano stati bassi e quanto velocemente stiano recuperando sono tuttora temi di interesse scientifico, ma si è creato un enorme deficit di screening negli ultimi 12 mesi: milioni di esami sono saltati e molto probabilmente non avremo a disposizione le infrastrutture per recuperare completamente. Penso che questo possa portare a diagnosi di tumori a stadi più avanzati. L’altra brutta notizia è che le diagnosi di cancro sono state inferiori nell’ordine del 50% per molti mesi durante la pandemia. Non c’è motivo di credere che l’incidenza del cancro sia così bassa. Pensiamo invece che quei tumori diventeranno evidenti a stadi più avanzati.

Intende dire che i pazienti sintomatici non ricorrono alle cure?

È vero. Questo è un punto importante. Penso che gli screening abbiano ottenuto grande attenzione perché sono conosciuti dai pazienti, ma molti tumori vengono diagnosticati quando il paziente richiede una valutazione medica e anche le diagnosi sono diminuite. Abbiamo osservato la diminuzione dei tassi di diagnosi di tumore al pancreas e di altre neoplasie che non vengono normalmente diagnosticate con gli screening. Quindi pensiamo che il calo delle diagnosi sia dovuto in parte agli screening, ma anche al fatto che i pazienti non vanno dal medico per valutazioni sintomatiche.

Una conseguenza ottimistica può essere che numerosi tumori che si riscontrano con gli screening sono indolenti e non è un grande problema se vengono diagnosticati 6 mesi o un anno in ritardo. Ma credo che solo Pollianna penserebbe che la diminuzione del 50% delle diagnosi di cancro sia dovuta agli screening, a tumori irrilevanti. Molti di noi, me compreso, ritengono che questo sia il substrato di diagnosi ad uno stadio più avanzato. Un’evidenza che ho già osservato è quella di un singolo centro che mostra un notevole calo degli screening con TC a basso dosaggio durante la pandemia e, ora che stanno riprendendo gli screening, sta riscontrando noduli polmonari più grandi rispetto al solito.

 In che modo NCI sfrutterà questo sfortunato “esperimento della natura” per studiare gli screening oncologici?

Abbiamo fatto di tutto per esprimere la nostra preoccupazione a proposito degli screening e delle diagnosi mancate. La buona notizia è che la maggior parte degli operatori sanitari si rende conto del problema e sta cercando le possibili soluzioni. Gruppi come l’American Society of Clinical Oncology, l’American Society for Radiation Oncology, l’American Association of Cancer Institutes, il National Comprehensive Cancer Network, l’American College of Surgeons, e altri gruppi hanno cominciato a diffondere raccomandazioni per gli screening e l’assistenza oncologica durante la pandemia. L’American Cancer Society ha messo in atto una grande iniziativa per il ritorno agli screening e istituzioni accademiche e centri oncologici hanno riaperto e stanno cercando di recuperare. Il National Cancer Institute è un’organizzazione di ricerca, quindi il nostro obiettivo principale è raccogliere gli interrogativi relativi alla ricerca sollevati dalla pandemia, compresi quelli che riguardano gli screening e la prevenzione. Uno di questi è: “Quanto possono essere validi gli screening effettuati a domicilio?”. Questi ultimi comprendono i kit per l’auto-raccolta dei campioni cervicali e per l’individuazione del tumore del colon. Abbiamo a disposizione alcuni dati che indicano che, benché la colonscopia abbia notevolmente risentito della pandemia, l’auto-raccolta dei campioni non è stata condizionata in alcune aree. Penso sia un risultato promettente. Se riusciamo a implementare gli screening con l’auto-raccolta dei campioni a domicilio, in modo particolare per le popolazioni difficili da raggiungere o sottorappresentate, possiamo svolgere un lavoro migliore relativo agli screening.

Un’altra domanda è: “Possiamo utilizzare questa pausa particolare negli screening per studiare l’eccesso di diagnosi e di trattamenti?”. Questi studi sono difficili perché sono massivi e richiedono molti anni di osservazione. Credo che sarebbe un’occasione mancata se NCI non considerasse il cambiamento drammatico degli screening causato da un fatto naturale, per cercare di analizzare il ruolo degli screening oncologici nel distinguere i tumori indolenti da quelli aggressivi.

Si aspetta che la ripresa degli screening sia omogenea in tutta la popolazione?

È una domanda interessante. Chiaramente l’incidenza e la mortalità da coronavirus sono state percepite in modo sproporzionato da alcune popolazioni svantaggiate degli Stati Uniti, in modo particolare dai pazienti afro-americani e ispanici. Ci si chiede anche se l’interruzione degli screening oncologici, delle diagnosi e dei trattamenti abbia interessato tutta la popolazione in modo uniforme oppure se qualcuno abbia vissuto un doppio smacco, cioè coronavirus e diminuzione dell’accesso alle cure oncologiche. Direi che è ancora un interrogativo aperto. Ho visto i dati di alcuni Centers for Disease Control and Prevention (CDC; Atlanta) che suggeriscono che gli screening sono stati praticamente spazzati via per tutti. Alcuni dati indicano che gli screening dei pazienti afro-americani e dei bianchi sono ripresi a una velocità maggiore rispetto, per esempio, ai pazienti indo-americani. Quindi sembra ci siano problemi di disparità che emergono con la ripresa degli screening, anche se questi aspetti meritano di essere osservati perché i dati sono iniziali e le dimensioni del campione ancora piccole. Ultimamente ho spesso detto che è il momento degli scienziati, perché la pandemia ha fornito l’opportunità di affrontare alcuni interrogativi importanti che riguardano la ricerca: “Perché accade? Come possiamo affrontare questo problema?”.

Cambiando argomento, è preoccupato che SARS-CoV-2 possa aumentare il rischio di cancro?

È un tema interessante perché circa un terzo dei tumori nell’uomo a livello mondiale è associato a una infezione virale. Spesso è un virus che si integra nel genoma dell’ospite o esiste in forma episomiale, ma non accade in tutti i casi. Per esempio, in alcuni tipi di epatiti virali sembra che il virus stesso non agisca sul cancro quanto sull’infiammazione e la fibrosi causate dal virus. Perciò gli effetti dei virus sul cancro possono essere in qualche modo indiretti. Penso che questo sia un importante tema di ricerca. Non credo che i coronavirus possano causare il cancro ma credo anche che le aspettative non dovrebbero influenzare le nostre azioni: dobbiamo davvero prendere in considerazione questo tema.

Possiamo analizzarlo in vari modi. NCI e altri componenti di NIH (Bethesda, MD) hanno identificato prospetticamente coorti longitudinali che cercheremo di seguire per capire se ci sono effetti avversi o inspiegabili a lungo temine correlati al coronavirus. L’attenzione ora è focalizzata sul cosiddetto long COVID (cioè conseguenze post-acute da COVID), ma penso che quelle coorti possano essere utilizzate anche per la valutazione di malattie secondarie come le neoplasie. Abbiamo anche alcuni studi registrativi che possono essere utili. Spesso il problema che emerge dagli studi epidemiologici è che non ci sono abbastanza casi, ma non riguarda il coronavirus.

A parte il tema del COVID-19, che cosa pensa dell’estensione delle linee guida sul tumore del polmone da parte della Preventive Services Task Force (USPSTF) americana?

Quando i ricercatori del Cancer Intervention and Surveillance Modeling Network (CISNET) mi hanno mostrato i loro modelli, ho chiesto: “Quali sono le previsioni per il tumore del polmone nei prossimi 50 anni?”. Stavo pensando alla lotta contro il tabagismo e alle nuove terapie, ma non avevo capito che l’opportunità presentata dallo screening per il tumore del polmone è significativa. Possiamo fare una grande differenza nella mortalità per tumore del polmone se lo adottiamo su vasta scala e i dati a supporto non sono pochi: grandi studi randomizzati negli Stati Uniti e in Europa hanno mostrato che lo screening per il tumore del polmone è una cosa che dovremmo concretizzare e CISNET ha realizzato modelli sulla popolazione interessata, che hanno portato ai cambiamenti delle raccomandazioni della Preventive Services Task Force (USPSTF) americana. Queste variazioni permetteranno di aumentare il numero dei pazienti eleggibili per lo screening nell’ordine di un fattore 2, comprendendo molte più donne e pazienti della minoranza sottorappresentata, in particolare pazienti afro-americani. Quindi penso che tutto si stia muovendo nella giusta direzione. La tecnologia è disponibile e abbiamo una modalità che ha dimostrato di ridurre la mortalità, quindi dobbiamo solo metterci al lavoro. Speriamo che il nuovo annuncio del USPSTF, che ha ottenuto grande attenzione, possa convincere i pazienti a rivolgersi al medico per capire se devono essere sottoposti a screening.

Naturalmente siamo anche preoccupati per le sovradiagnosi e i sovratrattamenti e c’è questo rischio morale: “Io posso continuare a fumare se mi sottopongo allo screening.” Penso che emergeranno dati in un futuro non troppo lontano che mostreranno che qualsiasi tipo di programma di screening per il tumore del polmone è di gran lunga migliore se abbinato alla volontà di smettere di fumare. Anche se le terapie per smettere di fumare sono moderatamente efficaci, se vengono affiancate allo screening, l’impatto sulle diagnosi di cancro e di altre malattie non maligne è notevole. Credo che noi, come caregiver, dobbiamo cercare di incentivare la realizzazione degli screening in abbinamento alla cessazione del fumo.

In quale altro modo possiamo aiutare le persone a capire e a ridurre il rischio oncologico?

L’educazione è una parte importante di questo messaggio. I Centers for Disease Control e la Food and Drug Administration dispongono di fondi appropriati per iniziative educazionali, così come le autorità sanitarie pubbliche locali, e io credo fortemente in questi sforzi. Il ruolo di NCI è misurare l’impatto di questi sforzi. Ma possiamo fare altro? O potremmo fare cose diverse? Penso che l’obesità sia un tema a cui negli Stati Uniti non viene rivolta sufficiente attenzione. La capacità dell’obesità di favorire il cancro è spesso la quinta cosa a cui le persone obese pensano, ma sta diventando un importantissimo fattore di rischio modificabile per il cancro negli Stati Uniti e potrebbe diventare presto il principale fattore di rischio modificabile. I tumori la cui incidenza è in aumento sono in gran parte associati all’obesità. Questo è un tema per cui è necessaria una maggiore educazione, ma francamente anche una maggiore ricerca scientifica. È necessario sviluppare approcci efficaci per aiutare i pazienti a gestire l’obesità e, in primo luogo, dobbiamo capire meglio perché questo accade.

Vuole aggiungere altro a proposito di prevenzione oncologica?

Credo che l’ultima cosa da dire sia che abbiamo una nuova Amministrazione che è molto attenta al cancro, che ha fatto dichiarazioni molto forti sul tema, compreso il Presidente Joe Biden che ha dichiarato di voler mettere fine al cancro come lo conosciamo. Credo che qualsiasi successo in quel senso coinvolga prevenzione e screening: l’obiettivo si potrà raggiungere solo riducendo drasticamente l’incidenza del cancro attraverso le misure di prevenzione.