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Lo studio UK. ANTICORPI COVID-19 NEL PERSONALE SANITARIO DI ONCOLOGIA

Uno studio effettuato sul personale oncologico immediatamente dopo il picco della pandemia COVID-19 della scorsa primavera nel Regno Unito ha indicato che molti sono stati infettati dal coronavirus, compresi quelli che non mostravano sintomi. Lo studio – presentato dal dott. David Favara e colleghi al Virtual Showcase del NCRI (National Cancer Research Institute) – ha scoperto che una notevole percentuale di positivi agli anticorpi COVID-19 dopo il primo picco aveva perso la positività dopo 4 settimane.

La ricerca suggerisce che lo staff di oncologia dovrebbe essere sottoposto a test di routine per identificare infezioni in corso o precedenti poichè i tassi di infezione da COVID-19 hanno ricominciato ad aumentare a livello globale.

Il dott. David Favara, del Cambridge University Hospitals NHS Foundation Trust e University of Cambridge, che ha condotto lo studio COVID-19 Serology in Oncology Staff (CSOS), ha affermato: “Abbiamo incominciato a lavorare a questa ricerca ad aprile 2020, durante il primo lockdown del Regno Unito. In quel periodo non era disponibile un programma di test per lo staff del NHS, sintomatico o asintomatico, ed ero preoccupato per l’impatto della trasmissione del virus ai nostri pazienti. Il test di reazione a catena della polimerasi era ostacolato dalla limitata capacità di test nazionali – solo le persone malate al punto da essere ricoverate in ospedale con gravi sintomi da COVID-19 venivano sottoposte a test -, mentre i test anticorpali non sono stati offerti al di fuori del contesto sperimentale. Ha aggiunto: “Per quanto ci risulta, crediamo che questo sia il primo studio sull’esposizione al virus del personale oncologico a contatto con i pazienti durante il picco della pandemia COVID-19 nel Regno Unito tra marzo e giugno 2020.”

Lo studio

Lo studio includeva 434 infermieri, medici, radioterapisti, e personale dell’amministrazione che svolgevano mansioni a contatto con i pazienti durante il picco della prima ondata nei reparti di oncologia in tre grandi centri dell’Inghilterra orientale: Cambridge University Hospitals NHS Foundation Trust, North West Anglia NHS Foundation Trust, e Queen Elizabeth Hospital Kings Lynn NHS Foundation Trust.

All’inizio di giugno lo staff che ha partecipato è stato sottoposto a un test antigenico (un tampone nasofaringeo per il test della reazione a catena della polimerasi) per stabilire la presenza del virus, e a due diversi test anticorpali (un campione di sangue analizzato sia con un test di laboratorio che con uno rapido) per individuare una precedente infezione.

I risultati del test

Nessuno è risultato positivo al test antigenico, non essendo probabilmente affetto dal virus al momento del test. Tuttavia, il 18,4% del personale sottoposto al test in giugno era positivo agli anticorpi specifici del virus (secondo gli esami di laboratorio), evidenziando quindi una infezione precedente.

I tassi maggiori di infezione erano tra gli infermieri oncologici (21,3%), seguiti dai medici (17,4%), dagli amministrativi (13,6%), e dai radioterapisti (8,9%). Solo alcuni risultati positivi agli anticorpi hanno riportato sintomi da ricondurre a COVID-19 (38%).

Quattrocento persone dello staff sono state sottoposte a test 4 settimane successivamente, in luglio, e il 13,3% è risultato positivo agli anticorpi. Di questo, il 92,5% era risultato positivo in precedenza e il 7,5% era di recente positivizzazione. Tra i positivi agli anticorpi in giugno, il 32,5% si era negativizzato 4 settimane dopo.

Il Dr. Favara ha dichiarato, “Il Regno Unito segue le indicazioni del Royal College of Radiologists che suggerisce la verifica degli antigeni virali nei pazienti che si sottopongono ai trattamenti radioterapici, oltre al test per il personale. In considerazione dei risultati, proponiamo che si ponga attenzione ai test di routine del personale infermieristico oncologico sia per l’antigene del virus che per gli anticorpi, fino a quando non sarà disponibile un vaccino efficace. La verifica di una precedente infezione unita al test per l’infezione in corso fatti su larga scala aiuterebbero anche a comprendere meglio le variazioni di immunità nel tempo.”

Il Dr. Favara e i suoi colleghi continueranno a raccogliere campioni a intervalli fino a che sarà disponibile un vaccino.