Notiziario AIOM

UN ANNO DI COVID

Dal lockdown totale della prima ondata del virus, al blocco degli screening fino alla richiesta di vaccinare con priorità i pazienti oncologici, cardiologici e ematologici. Il presidente AIOM, Giordano Beretta, ripercorre le tappe che hanno caratterizzato 12 mesi di emergenza sanitaria

Il 21 febbraio del 2020 è stato confermato il primo caso italiano di infezione da SARS-COV-2. Precedentemente il problema sembrava legato solo alla Cina ed i primi due casi riscontrati in Italia avevano interessato due turisti cinesi. Nei giorni successivi si è verificata una rapida crescita dei casi ed i mesi di marzo e aprile sono stati tali da comportare, soprattutto in Lombardia e nel Nord Italia, una completa modifica di tutto il Sistema Sanitario: ospedali sovraccarichi, terapie intensive talmente sotto stress da necessitare la creazione di nuove realtà rianimatorie in ogni spazio che fosse disponibile per posizionarvi un ventilatore, ambulanze in coda al pronto soccorso, sanità territoriale in profonda crisi organizzativa, alla fine persino camion militari in coda al cimitero per trasportare le bare.

Era un’evenienza a cui nessuno di noi era preparato. Le grandi pandemie risalivano ad oltre un secolo fa, la guerra era nei ricordi dei più anziani, che l’avevano vissuta da bambini e quindi con una percezione differente da come avevano potuto osservarla gli adulti. Lockdown totale: per due mesi l’autostrada A4, una delle arterie più trafficate d’Italia (circa 400.000 veicoli al giorno), appariva come un paesaggio spettrale. Gli uccelli erano diventati i proprietari del nastro di asfalto su cui viaggiavano pochissimi veicoli. Nel mio percorso giornaliero tra Capriate e Bergamo potevo contare le auto che incontravo sulle dita delle mani, e la domenica alle 7 del mattino, spesso, c’ero solo io.

L’attività oncologica ha subito stravolgimenti. I follow up sono stati trasformati in contatti telefonici, con l’invito, però, a presentarsi ai pazienti i cui accertamenti o sintomi facessero ritenere utile una valutazione clinica. L’attività di prime visite è stata mantenuta, così come i trattamenti farmacologici non procrastinabili, mentre per gli altri si è effettuata una rimodulazione sulla base del rapporto rischio (infezione) / beneficio (trattamento). Una quota di pazienti rifiutava, però, nelle prime settimane, di accedere all’ospedale per la paura del contagio. Le attività diagnostiche e chirurgiche hanno subito dei rallentamenti (radiologie impegnate a pieno regime per le TAC COVID, anestesisti a tempo pieno sui malati respiratori, sale operatorie impiegate come terapie intensive). Alcuni Ospedali di alta specializzazione sono rimasti COVID free ed hanno aiutato tutti gli altri dal punto di vista chirurgico, anche se non sono riusciti a coprire tutto il fabbisogno. Gli screening si sono completamente bloccati, e ciò aveva, in fase acuta, il significato di ridurre l’accesso dei soggetti potenzialmente sani alle strutture ospedaliere. Nel mese di maggio, lentamente è sembrato che si stesse tornando alla normalità ma, già al termine dell’estate, si è evidenziata una possibile ripresa che è sfociata nella seconda ondata di ottobre-novembre che non si è ancora placata. In questa seconda fase, però, avendo creato percorsi separati, l’attività ha potuto svolgersi con maggiore regolarità, anche se gli screening sono ripartiti “a macchia di leopardo” e, in alcune realtà, sono tuttora fermi.

La speranza di tutti si è focalizzata sulla possibile disponibilità di vaccini, che, grazie alle precedenti ricerche per la SARS e la MERS, hanno potuto essere disponibili in tempi rapidissimi. In meno di un anno è cominciata la campagna vaccinale che ha interessato per primi gli operatori sanitari e, successivamente, gli ultraottantenni. Tale scelta è stata dettata dalla necessità di vaccinare per primi i soggetti con il maggior rischio di morte.

Attualmente occorre definire i passi successivi che devono interessare il resto della popolazione. Già all’inizio di gennaio AIOM, insieme con CIPOMO e COMU, ha stilato una raccomandazione volta a suggerire la vaccinazione in tutti i pazienti oncologici con priorità ai pazienti in trattamento attivo. La somministrazione nei pazienti oncologici viene fortemente consigliata anche in assenza di dati di letteratura in questa popolazione, sulla base dei dati dello studio INVIDIA che ha dimostrato come la vaccinazione antinfluenzale sia efficace e priva di effetti collaterali differenti rispetto alla popolazione generale. Questo dato permette quindi di ipotizzare che anche la vaccinazione anti-COVID sia sostanzialmente con lo stesso rischio di effetti avversi rispetto ai soggetti sani, a fronte di un rischio clinico maggiore, per i pazienti oncologici in corso di trattamento che possa avere effetto immunosoppressivo, di contrarre l’infezione.

Anche ipotizzando che la mortalità di questi pazienti sia simile a quella della popolazione generale, e così, purtroppo, non è, l’evenienza di una infezione implica la necessità di ritardare i trattamenti oncologici che sono fondamentali per la gestione della malattia tumorale, comportando quindi il rischio di un aumento della mortalità per causa oncologica. Appare quindi fondamentale la protezione di questi pazienti.

Nell’ambito della collaborazione tra AIOM, SIE (Società Italiana di Ematologia) e SIC (Società Italiana di Cardiologia) è nata FOCE (ConFederazione Oncologi, Cardiologi, Ematologi) che ha presentato istanza alla Presidenza del Consiglio ed al Ministro della Salute per la tutela dei pazienti oncologici, cardiologici ed ematologici. Tra le tante richieste presentate è stato chiesto anche di dare priorità ai pazienti fragili, e cioè a quelli in corso di trattamenti o con patologie cardiologiche severe.

Sulla base di queste richieste il giorno 8 febbraio 2021 un documento a firma congiunta del Ministero della Salute, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Agenas e di AIFA ha ribadito che i pazienti oncologici in trattamento immunosoppressivo, oltre agli onco-ematologici ed ai cardiologici severi, fossero inseriti in una sequenza subito successiva agli ultraottantenni, prima dei soggetti tra 70 e 79 anni. Alcune Regioni hanno già iniziato le vaccinazioni in tali soggetti contestualmente agli ultraottantenni.

La lettera inviata da ASCO ai governatori dei 50 Stati americani si muove quindi lungo le stesse direttive che AIOM ha disegnato da tempo e conferma come sia necessaria una sensibilizzazione dei più alti livelli istituzionali a tutela dei pazienti.

Giordano Beretta      

Presidente Nazionale AIOM